martedì 4 ottobre 2011


ALLO STUDIO ANCHE SONDAGGI SULLA TENUTA DEL PDL SENZA IL SUO NOME ACCANTO AL SIMBOLO

Berlusconi dirà che non si ricandida

Con i suoi valuta modi e tempi del prossimo annuncio

ROMA - Il suo nome è diventato un problema. Un tempo era un marchio di successo, una risorsa imprenscindibile, ambita e contesa, pretesa sul territorio, data per scontata, e a caratteri cubitali, come volano per moltiplicare consensi in un partito i cui elettori si identificano in Silvio Berlusconi. Oggi può essere l'esatto contrario, almeno per un partito che aspira a essere maggioritario, e l'ha capito il diretto interessato. Il Cavaliere non vuole più il suo nome, e il suo cognome, nel simbolo del Pdl. Lo ha chiesto lui stesso, dopo aver fatto fare dei test sulla forza del partito di Angelino Alfano al netto della sua immagine, ovvero di qualsiasi riferimento diretto alla sua persona.

I test che Berlusconi ha fatto fare, suo malgrado, hanno confermato l'intuizione: meglio un partito «de-berlusconizzato», meglio un semplice partito moderato, con il volto giovane di Angelino («da quando c'è lui alla guida mi sento sollevato») e una squadra di dirigenti che raccolga il lascito ideale del suo fondatore, ma eliminando al momento qualsiasi collegamento con la persona. Meglio ancora se nel quadro rassicurante del popolarismo europeo. Il Pdl senza il nome del fondatore vale molto di più di quanto quota oggi nei sondaggi dei vari istituti. Nonostante le inchieste, i processi, le intercettazioni, gli squarci sulla vita privata del premier, il partito non è crollato, viaggia ancora fra il 26% e il 27%. Ma c'è di più.

I numeri che ad Arcore sono arrivati dicono che questo zoccolo duro è destinato a crescere se abbinato a una sapiente operazione di «cancellazione» dei riferimenti diretti a Berlusconi. È stato lo stesso premier a dire che al momento i voti dei moderati, tanti voti del Pdl, sono «soltanto congelati»: congelando sé stesso, ritiene di scongelare i voti, attirando magari quegli elettori centristi che oggi non sono disposti a votare per la sinistra, ma nemmeno per la prima forza moderata del Paese, perché ancora troppo sbilanciata sul profilo del presidente del Consiglio.

Eppure, secondo i rilievi dello stesso Berlusconi, esiste anche uno zoccolo duro di elettori che voterebbero per lui a prescindere, senza se e senza ma; e questa quota si aggirerebbe intorno al 15%. E da quest'altra rilevazione nascerebbe una postilla di non poco conto, ovvero la tentazione di abbinare alle prossime elezioni una lista più piccola, «personale», a favore del Cavaliere. Anche se in tanti pensano che l'eventuale sdoppiamento dell'offerta possa non essere affatto virtuoso, togliendo al partito più voti di quanti ne porterebbe alla coalizione.

Di certo il premier non vede l'ora di dire ufficialmente che non sarà più candidato. E dirlo in televisione, davanti agli italiani. «Aspetto il momento più opportuno», lo diceva anche ieri ai suoi collaboratori. E probabilmente è anche il motivo per cui è saltato un possibile intervento alla trasmissione Porta a Porta , previsto originariamente per domani.

In tv il capo del governo vuole tornare quando avrà qualcosa di concreto da comunicare, dunque probabilmente dopo il varo del decreto per lo sviluppo. Prima di quella data, ed è quello che gli consiglia il suo staff, apparirebbe più il profilo dell'uomo che ha guai con la giustizia e la sua vita privata, meno quello del presidente del Consiglio. Un rischio assolutamente da evitare, fondato sugli stessi argomenti per cui è più opportuno immaginare un partito non solo in grado di camminare sulle sue gambe, ma di farlo più velocemente senza un'eredità troppo schiacciata sulla figura del premier.


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